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Trovatore, Il.

Melodramma in quattro atti di G. Verdi, su libretto di S. Cammarano, tratto dalla tragedia El trovador dello spagnolo A.G. Gutiérrez. Venne rappresentato per la prima volta al teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853. Seconda opera della cosiddetta “trilogia popolare” (con Rigoletto e La traviata), l'opera possiede una struttura drammaturgica costruita per forti contrasti drammatici, alla quale si unisce una straordinaria fecondità melodica. Come in Rigoletto e in Violetta, Verdi è riuscito a infondere nel personaggio di Azucena, vera protagonista dell'opera, una vitalità e un'umanità conquistata attraverso il dolore. Anche le parti di Leonora e di Manrico contengono alcune tra le più belle pagine verdiane. La vicenda si svolge in Spagna all'inizio del XV sec. Leonora, principessa d'Aragona, (soprano) è innamorata di un misterioso trovatore, Manrico. Il conte di Luna (baritono), pretendente alla mano della donna, sfida a duello il rivale. Manrico vince il duello, ma rimane ferito. Rifugiatosi presso l'accampamento degli zingari, sulle montagne di Biscaglia, viene a sapere dalla madre, la zingara Azucena (mezzosoprano), che ella, per vendicare la propria madre (arsa viva sul rogo dal padre del conte sotto l'accusa di averne stregato il figlio minore) avrebbe voluto bruciare il bambino sullo stesso rogo, ma che per errore aveva bruciato il proprio figlio. Manrico vuole sapere se Azucena è veramente sua madre, ma ella gli risponde evasivamente. Leonora, credendo morto l'amato, vuole prendere i voti, ma Manrico accorre e la porta con sé. Nel frattempo il conte ha imprigionato Azucena che, riconosciuta come la rapitrice del bambino, viene condannata al rogo. Manrico corre a liberarla, ma viene anch'egli fatto prigioniero e condannato a morte. Egli riceve la visita di Leonora la quale, promettendosi al conte, gli ha ottenuto la grazia. La giovane, per non sottostare all'obbrobrioso patto, si è però avvelenata e muore tra le braccia dell'amato. Manrico viene decapitato ma, a sentenza eseguita, Azucena rivela al conte che il giovane giustiziato era suo fratello: la vendetta della zingara è finalmente compiuta. Tra le arie più memorabili: Tacea la notte placida, Di tale amor (Leonora, atto I); Deserto sulla terra (Manrico, atto I); Di geloso amor sprezzato (conte di Luna, Leonora, Manrico, atto I); Vedi le fosche notturne spoglie (Coro di gitani, atto II); Stride la vampa, Condotta ell'era in ceppi (Azucena, atto II); Giorni poveri vivea (Azucena, Ferrando, conte di Luna, atto III); Di quella pira (Manrico, atto III); D'amor sull'ali rosee (Leonora, atto IV); Mira, di acerbe lagrime (Leonora e conte di Luna, atto IV); Ai nostri monti (Azucena e Manrico, atto IV); Ciel! Non m'inganna quel fioco lume (Manrico e Leonora, atto IV).